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Al termine di un’udienza

Il  30 novembre 2004, al termine di un’udienza, uscivo dal Tribunale in compagnia del mio collega e amico Chrétien. Appena rimesso in funzione, il mio telefonino si è messo a squillare.

La chiamata era di un altro collega, il quale mi chiede con insistenza di prestare la mia assistenza professionale a un cittadino francese residente in Cameroun che sarebbe perseguitato dal Commissario capo dell’ufficio della Direzione Generale delle Ricerche Esteri (D.G.R.E.), che è la struttura dei servizi segreti del Cameroun.

Acconsento e col mio collega incontro questa persona. Questi ci spiega che ha messo termine alla relazione con una signora di nazionalità ivoriana, e come rappresaglia, lei lo porta in tutti i commissariati della città di Douala. La signora ha anche ha sollecitato i servizi del Commissario capo dell’ufficio della Direzione Generale delle Ricerche Esteri, il quale lo chiama spesso chiedendogli di andare nel suo ufficio alla caserma, portando con se due milioni di franchi camerunesi (più di 3.000 Euro) da dargli.

Il mio collega ed io lo accompagnamo, non per assisterlo (perché le norme di procedura penale non ci permettono di assistere una persona convocata dalle autorità della polizia), ma per assicurarci che:

  • • L’ufficio della DGRE sia effettivamente nell’ambito della caserma indicata.
  • • Sia stato il commissario a convocare via telefono il cittadino francese.

Arrivati all’ufficio del commissario, ci siamo presentati e abbiamo fatto sapere il motivo della nostra presenza. La reazione di questi è stata sorprendente e inaspettata. Ha gridato che non abbiamo il diritto di essere nel suo ufficio, e che in qualità di capo di questo ufficio, ha diritto di vita e di morte su tutti quelli che vi si ritrovano.

Ha dato ordine ai suoi collaboratori di buttarci fuori manu militari; il mio collega ed io ci siamo ritrovati nel cortile di una scuola pubblica che affianca gli uffici della DGRE. Tiro fuori il mio telefonino per informare il rappresentante a Douala del Presidente dell’ordine degli avvocati di questo incidente, ma mentre provo a chiamare il commissario stesso ci ha raggiunto nel cortile, e mi strappa il telefonino, mi prende a pugni sul viso trascinandomi verso un cespuglio dove mi getta e se ne va.

Il mio collega, costernato da questo trattamento inumano, comincia a chiamare alcuni colleghi in soccorso, e dopo una trentina di minuti, l’ingresso degli uffici della DGRE è zeppo di Avvocati. Il movimento di protesta è dunque scattato e sarà aggravato dal comportamento del Procuratore Generale quando ci riceve due ore più tardi, in compagnia del rappresentante del Presidente dell’ordine degli Avvocati. Il Procuratore non solo dà la sua approvazione al comportamento del Commissario, ma per di  più, vuole vietare agli Avvocati l’accesso nella sala di udienza dove erano riuniti per coordinare il movimento di protesta.

Uno sciopero generale è dunque decretato dagli Avvocati della Corte di Appello del Litorale (regione di Douala), sciopero che velocemente si estende all’intero territorio nazionale. Lo scopo è quello di ottenere dal Capo di Stato una risposta positiva al MEMORANDUM che gli Avvocati gli sottopongono, nel quale richiedono:

  • • Una sanzione e la destituzione del Commissario,
  • • La destituzione del Procuratore Generale di Douala,
  • • E soprattutto l’adozione immediata del nuovo codice di procedura penale, che preveda il diritto per l’Avvocato di assistere ogni persona già dagli interrogatori negli uffici di polizia.

L’istituzione giudiziaria viene paralizzata da questo sciopero. Siamo ormai nel mese di febbraio 2005, e la tensione è al suo culmine tra lo Stato del Camerun e l’Ordine degli Avvocati, perché il sciopero è sempre in atto sull’intero territorio.

I mass media e i cittadini sono solidali con noi e appoggiano le nostre: le repressioni della polizia sono diventate da tempo motivo di sofferenza quotidiana dei Camerunensi. Ho depositato una denuncia dal Procuratore contro il Commissario, e il Ministro della Giustizia non vuole autorizzare il Procuratore della Repubblica a convocarlo per accusarlo.

Curiosamente, questa ostruzione della procedura è approvata dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati, che sin dall’inizio, sembra piuttosto prendere posizione a favore del Commissario. Ciò nonostante, gli Avvocati non mollano e focalizzano tutto il movimento sulla mia persona.
Contemporaneamente, il Capo di Stato che è venuto a conoscenza dalla questione, dimostra una grande comprensione e manda un emissario per informarmi delle misure che ha ordinate contro il Commissario e dell’impegno personale che prende per far adottare il nuovo codice di procedura penale al più tardi nella sessione parlamentare di giugno 2005. L’emissario mi indica che il Capo di Stato avrebbe desiderato la mia collaborazione e quella dei miei colleghi per il ritorno dell’ordine, permettendo all’istituzione giudiziaria di riprendere il suo corso normale di funzionamento.
Mi trovo così confrontato ad un dilemma:

  • • Dovrei credere alle promesse di riforma annunciata dall’emissario ed essere tollerante verso le autorità della Repubblica?
  • • Oppure dovrei rimanere rigido con i miei colleghi nella lotta che già prende la forma di una ribellione?

Decido di cercare la soluzione nella preghiera e, dopo 48 ore, dentro di me ho avvertito quasi una risposta, che allo stesso tempo mi è parsa tanto difficile da realizzare, perché potrebbe suscitare una reazione violenta da parte dei miei colleghi.

Si trattava di considerare le promesse del Capo di Stato come sincere, e perdonare il Commissario. Fare il sacrificio pacifico della mia persona per il bene della Repubblica. Devo confessare che questa decisione mi provoca turbamento, perché sono convinto che così facendo, riceverei l’ostilità dei miei colleghi, e di tutti quelli che volevano farla finita con questo disastroso sistema della polizia nazionale.

Vado all’appuntamento con l’emissario del Capo di Stato nella capitale, e gli dico: •    Lei mi conferma che il Capo dello Stato ha preso l’impegno personale di far adottare il codice di procedura penale al più tardi nella sessione parlamentare di giugno 2005.

  • • Considero questo impegno morale e le preciso che ottenere questo codice è lo scopo essenziale del nostro movimento di protesta. Il commissario è stato solo lo scatto della protesta, e non vorrei che diventasse per me un nemico. Chiedo dunque moderazione nella sanzione contro di lui.
  • • Per quanto riguarda la mia cooperazione, considero che il Capo di Stato m’invita ad adempiere il mio dovere di cittadino ritirando la mia denuncia. E’ un dovere col quale non si può contrattare e prendo la decisione di farlo senza contraccambio.
  • • E’ questo il contratto morale che concludo con le autorità della Repubblica, ed aspetto che rispettino entro i termini previsti l’impegno preso.
  • L’indomani, dopo aver sentito i consigli di un ottantenne, ho scritto la lettera di ritiro della denuncia.
  • Appena i Giornalisti e gli Avvocati sono informati, ecco che si scatena contro di una campagna diffamatoria.

La spiegazione delle ragioni profonde della mia decisione non cambia niente, nessuno mi crede e tutti dicono che mi sono lasciato corrompere per far fallire le riforme che avevamo richiesto.
Divento dunque oggetto di critica feroce da parte dei miei colleghi che danno via a ogni tipo di sarcasmo contro di me sulle scene di Tv e alla radio.

Posso però dire oggi che il codice di procedura penale è stata adottato entro i tempi previsti, e lo Stato ha fatto di più perché è stato adottato anche il nuovo regolamento della professione di Avvocati, che richiedevamo invano dal 1990.

Ma al di là della soddisfazione morale del dovere adempito, questa esperienza mi insegna che nel campo della giustizia penale, credo più che in ogni altro, il perdono è essenziale. Credo profondamente che la fraternità in questo campo avverà solo per questa strada.

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