In realtà, più che darvi definizioni certe e spiegarvi i concetti con cui avremo a che fare in questi giorni (dignità, diritti, diritto, relazione, dovere), proverei a porre e proporre interrogativi, stimolare la riflessione, suscitare dubbi – perché no?–
e domande che possano costituire la base per il dialogo e il confronto reciproco; offrire, quindi, solo qualche spunto per un possibile dibattito, tracciando le linee orientative generali su cui si svolgeranno i lavori del nostro convegno. Con l’ulteriore, e ultima, precisazione che quanto vi dirò è frutto di una riflessione e di una ricerca in parte personale, in parte anche condivisa, ma che certamente non esaurisce la vastissima tematica della dignità umana: che, proprio per questo, resta aperta e, in qualche modo, richiede il vostro personale contributo, così da poter giungere al termine dei nostri lavori a un’idea della dignità umana senz’altro più ricca e completa di quella che io sola sono in grado di presentarvi.
Il primo dato da cui, mi sembra, si possa partire è una semplice constatazione di fatto. Non v’è dubbio, infatti, che quello della dignità umana sia argomento al centro dell’odierno dibattito giuridico, e non solo; argomento che assume, peraltro, portata universale, non restando confinato all’interno di singole culture ma in qualche modo attraversandole tutte, essendo argomento che attinge alla realtà dell’essere uomo in quanto tale. Di ciò è prova il gran numero di Dichiarazioni, Accordi e Carte dei Diritti di ambito nazionale e internazionale, che si sono susseguiti a partire dal secondo dopoguerra; e tutti con lo stesso intento di fondo, ovvero proclamare solennemente l’inviolabilità e l’intangibilità della dignità umana, come attributo che appartiene intrinsecamente ad ogni uomo e che nessuna autorità costituita ha il potere di negare, e tantomeno di cancellare.
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