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Il caso della Valle del Sacco nel Lazio.

Piacenza, 25 settembre 2009

Carlo_CefaloniDr.Carlo Cefaloni
Presidente
Associazione Culturale “Teresio Olivelli”

Il caso della valle del Sacco rientra a pieno titolo nella biografia del nostro Paese e in quella complessità di rapporti tra pubblico e privato che contraddistingue molte situazioni contemporanee.

Si tratta di una situazione di inquinamento diffuso e pervasivo che interessa un territorio attraversato dal fiume Sacco che, nel suo percorso di 87 km ,nasce in provincia di Roma per arrivare a immettersi in un altro fiume, il Liri, nel sud Lazio.

L’epicentro del fenomeno si registra a 50 km dalla Capitale in una cittadina operaia, Colleferro, fondata nel 1912 per la installazione di industrie chimiche necessarie per gli armamenti, in particolare per la produzione di esplosivi.
Colleferro registrerà pertanto all’inizio del secolo scorso un aumento significativo delle maestranze e quindi della popolazione. Cresce la popolazione e aumenta la produzione, attraversando la prima guerra mondiale e sostenendo il riarmo che prepara la seconda guerra, che vedrà proprio in questa terra una sorta di drammatico anticipo con l’incidente del 1938 (il boato fu sentito fino a Roma) dove perirono 60 lavoratori e si contarono migliaia di feriti.
Una parziale riconversione verso usi civili dell’industria chimica, a Colleferro, si registrò negli anni ‘50 sotto la guida della stessa società Bomprini Parodi Delfino. Sono decenni in cui non si discute ancora di responsabilità sociale di impresa, facendola coincidere, concretamente, nel ritorno del capitale investito, nel volume delle vendite e nella crescita di occupazione stabile.
La città ha quindi sostenuto lo sforzo legato al boom economico del dopoguerra con aziende collegate a grandi conglomerati industriali nazionali, tra cui, prevalente il gruppo Fiat.
Ma, la gestione dell’enorme quantità di rifiuti tossici della produzione chimica è avvenuta senza osservare alcuna cautela e sicurezza.
La discarica incontrollata dei rifiuti nocivi ha prodotto la contaminazione del suolo e delle falde acquifere, che ha intaccato l’intera catena alimentare.

Quando nel 2004 si scopre che il terreno e le acque contengono un livello tale di sostanze tossiche da impedire la coltivazione per usi alimentari e l’allevamento di bestiame, la situazione è già compromessa.
Alcuni lavoratori testimoniano della prassi decennale di interrare i fusti di sostanze chimiche nocive senza alcuna cautela in un terreno posto al centro della città.
Altre discariche abusive sono sparse nel circondario, ma i lavori dell’alta velocità ferroviaria hanno provocato un rimescolamento della terra e lo spargimento indifferenziato che non permette un adeguato controllo, neanche a posteriori.
Sempre nel centro abitato, contro un parere preventivo della Asl competente, sono state avviate, nel 2003, due linee di combustione dei rifiuti interessate, nel 2009, da una indagine della magistratura che ravviserà un penetrazione reiterata della criminalità organizzata che è riuscita a conferire materiale di ogni genere,e quindi anche nocivo,per essere disperso nell’aria.
La collaborazione dei lavoratori ha potuto ricostruire la genesi della gestione irresponsabile dei fusti tossici di provenienza da lavorazione chimica delle industrie. Già nel 1977 un’indagine avviata dal sindacato dei chimici aveva segnalato il fenomeno di lavoratori che in prossimità della pensione registravano l’insorgere di alcune ricorrenti malattie tumorali.
E nel 1990 un’indagine congiunta della Guardia di Finanza di Colleferro e della Usl locale emerse che nelle aree - denominate ARPA 1, ARPA 2 e Cava di Pozzolana – in prossimità del perimetro industriale (ora occupato da più aziende) ex Bpd erano presenti quantità enormi di rifiuti industriali abbandonati in modo diffuso (gallerie, impianti dismessi, grotte, terreni). Si scoprì che complessivamente circa 4 ettari di terreno erano stati utilizzati per decenni come siti di discarica incontrollata di rifiuti tossici e nocivi di origine industriale.

I lavori di necessaria bonifica dovevano iniziare almeno in quegli anni, ma la società proprietaria del sito inquinato (Secosvim -gruppo Snia, Fiat Avio e Bpd) non vi ha proceduto per vari motivi. Come riconoscerà , durante un audizione della commissione affari sociali della camera del gennaio 2009 , un deputato che è stato più volte sindaco di Colleferro, nonché presidente della Provincia di Roma : “Sono stato sindaco per tre mandati e so benissimo quanto è stato difficile convincere anche i proprietari di quell'area, in particolare la FIAT (prima BPD), ad intervenire nella bonifica con finanziamenti consistenti”.

Sta di fatto che solo dopo il conclamato avvelenamento del bestiame, è stato riconosciuto lo stato di emergenza per la valle del Sacco con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri nel marzo 2005.
Quindi occorre attendere il 2005 per vedere ascrivere l’area della valle del sacco tra i 43 siti di interesse nazionale meritevoli di investimenti per la bonifica ambientale. Mentre la stessa relazione del sottosegretario alla sanità nell’audizione alla Camera dei Deputati riconosce che «ci troviamo di fronte ad una contaminazione riconducibile ad attività industriali che risalgono ai primi del Novecento e che ha coinvolto un’area vasta mille ettari interamente destinata alla produzione di sostanze chimiche, insetticidi, organoclorurati, esplosivi, carrozze ferroviarie, motori di lancio e allo smaltimento abusivo dei rifiuti industriali stessi».
La bonifica nel piano del sub commissario delegato dal presidente della regione Lazio presentato nel gennaio 2009, che deve essere tuttora finanziata integralmente, prevede anche misure di natura urbanistica: Lo spostamento di parte delle attività industriali dal centro cittadino ad una località di campagna posta a circa 4 Km dalla città con il recupero a fini abitativi delle volumetrie liberate dai complessi industriali.
Sempre a livello regionale una proposta di legge sugli eco distretti che potrebbe fornire le linee guida per una riconversione adeguata dell’attività produttiva è rimasta ignorata in consiglio regionale, mentre lo stesso termine di ecodistretto nell’area è stato utilizzato per giustificare la nascita dell’aeroporto di Ferentino Frosinone a poca distanza da Colleferro in piena Valle del Sacco.
Un altro asse centrale del volto ipotizzato per l’intera area dove insiste Colleferro e che spiega l’esigenza di una crescita urbanistica adeguata si può rintracciare in un grande parco di divertimenti ( il secondo in Europa dopo Disney world) previsto nelle vicinanze di un avviato centro commerciale outlet nel confinante comune di Valmontone e che complessivamente si prevede possa attirare 6 milioni di visitatori l’anno.
Un quadro di tale genere che sembra non rispondere ad un criterio coerente di salvaguardia dei beni comuni, ha visto in questi anni un movimento composito e diffuso di realtà associative che hanno cercato di interpretare un’ istanza etico politica di tutela e salvaguardia dei beni comuni a partire da quello della salute pubblica.
La risposta della popolazione, come in tanti casi similari, è di norma improntata ad una accettazione dello status quo. La consapevolezza ormai diffusa di una patogenesi da inquinamento diffuso non crea un movimento tale da rimuovere efficacemente le cause del danno alla collettività. Un nocumento che non è avvertito immediatamente ma che si sposta nel tempo nel suo effetto non produce reazioni significative, anche perché il ricatto occupazionale sembra più cogente di altri argomenti.
D’altra parte uno degli intenti ricorrenti dei responsabili della cosa pubblica è quella di non indurre un procurato allarme, ma di assicurare sicurezza e ordine. Tuttavia, non si riscontra una adeguata riparazione del danno arrecato alla popolazione interessata, ma la necessità di destinare ingenti importi pubblici (si ipotizzano 100 milioni di euro) per una parziale e controversa opera di bonifica.
Il confronto con il livello istituzionale mostra aspetti di ricerca di dialogo come di una conflittualità che si alimenta dalla convinzione che il livello decisionale avviene in altre sedi che non sono quelle politiche.
I movimenti di cittadinanza attiva hanno tuttavia provato a formulare proposte organiche di carattere alternativo. E in tal modo hanno affrontato anche la questione della produzione delle aziende presenti tuttora a Colleferro coinvolte nella filiera degli armamenti e soggette alle norme sul rischio di incidenti rilevanti. Nel caso in questione il motivo dei livelli occupazionali finisce però per imporsi e diventare prevalente anche sulla difficoltà di accesso alla conoscenza delle componenti della produzione per motivi di segretezza militare. La nuova configurazione della proprietà,inoltre, passata dal gruppo Fiat ad imprenditori locali per arrivare ad un controllo esercitato da un fondo di investimento britannico (Cinven),produce ulteriori problemi di individuazione di interlocutori ben definiti. Medesimo percorso seguito dalla principale e più prestigiosa azienda ancora presente nell’area industriale di Colleferro, l’Avio che è passata dal gruppo Fiat al famoso fondo Carlyle e, ora, a quello Cherming.
Ultimamente un tentativo avviato con il concorso di una diffusa rete locale assieme a due associazioni ambientaliste di livello nazionale con il concorso di parte del sindacato, dei centri di ricerca in materia di disarmo, ha cercato di proporre una piattaforma propositiva e ragionevole che affronta anche tematiche di politica industriale in una strategia complessiva di visione della società:
1. bonifica integrale prima di ogni intervento urbanistico
2. realizzazione di un ecodistretto idoneo a valorizzare i centri di ricerca per le fonti alternative di energia ( per esempio il polo solare organico, alternativo al silicio, avviato presso la Università di Roma 2) e adatto anche a fornire una occasione di rinascita della confinante zona dell’ex cassa del mezzogiorno interessata a continue vertenze e dismissioni (ad esempio la multinazionale indiana Videocon che ad Anagni ha posto in mobilità 1400 dipendenti pur di fronte alla disponibilità di finanziamento statale e regionale)
3. recupero e riuso virtuoso dei rifiuti e dismissione delle linee di incenerimento (a giugno, per esempio, è stato inaugurato proprio a Colleferro su iniziativa dei privati un centro di trattamento a freddo e senza emissioni di rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata ).
4. Valorizzazione del parco naturale della Selva di Paliano, non certo per i progettati campi da golf a 36 buche riservati ad una clientela selezionata.

Un percorso ovviamente esposto a tutti i pericoli, primo tra tutti la riduzione a vertenza localistica, ma attraverso il quale la società civile può porsi con le proprie esigenze di bene comune e fare quindi da ponte tra gli interessi privati in gioco e le istituzioni pubbliche chiamate a difendere il bene di tutti.

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