Convegno di Comunione e Diritto in Guatemala
"Diritto, fraternità e trasformazione sociale"
Testo della relazione del dott. Giovanni Caso presentata al Convegno tenutosi il 13 aprile 2013
Il titolo lascia intendere che diritto e fraternità devono contribuire alla trasformazione sociale.
E’ necessario allora comprendere il significato dei due termini (diritto e fraternità) e comprendere, quindi, come essi possono contribuire alla trasformazione sociale.
Bisogna dire che il diritto, come regola della convivenza, è un mezzo non un fine. Esso ha una funzione strumentale. In che modo?
Ai fini del nostro discorso, che è la trasformazione della società, si attaglia la definizione del diritto data da Hegel. Questi ha visto il ruolo del diritto nel processo di socializzazione; ossia nella costruzione dei rapporti sociali ai vari livelli (la famiglia, le comunità intermedie, lo stato). Anche se la visione di Hegel - secondo cui lo stato è l’ente supremo che in sé riassume gli interessi dei singoli, della famiglia e della società civile - deve considerarsi storicamente superata dal principio ormai affermatosi nella civiltà umana secondo cui l’uomo è prima dello stato ed ha una dignità e dei diritti inviolabili (v. la D.U. dei diritti dell’uomo e le Costituzioni di tutti gli stati), resta il fatto che Hegel ha intuito l'importanza del diritto nell’edificazione della società.
La realtà sociale
Per comprendere come il diritto può svolgere la suddetta funzione nella concreta situazione sociale di oggi, bisogna considerare come questa è. E a tale scopo bisogna capire su quali idee e principi si sia formata la società moderna; idee e principi che si sono affermati nella società occidentale, intendendo per questa quella europea e nord-americana. Essi, infatti, hanno dato luogo ad una cultura che poi si è estesa al resto del mondo, anche se si deve riconoscere che permangono antiche culture, quali quelle cinese, indiana e africana.
Gli storici sono concordi nel ritenere che la società moderna nasce, alla fine del Medioevo, con l’affermarsi di una nuova concezione dell’uomo. L’uomo è posto al centro del mondo e della storia; ma, non l’uomo astratto, sebbene l’individuo concreto. All’uomo concreto viene riconosciuta piena autonomia nella conoscenza della natura e nello stabilire le leggi che devono regolare la società. E’ la visione individualistica che, attraverso la Rivoluzione francese, si è affermata nel diritto con la creazione dei diritti soggettivi, principalmente il diritto di libertà e il diritto di proprietà; anzi la proprietà è stata vista come condizione della libertà stessa (soggettivismo giuridico). Su questi fondamenti giuridici si sono formate la società borghese e l’economia capitalistica. Questa concezione giuridica è tuttora a base dei rapporti sociali ed economici.
Tuttavia, nell’ultimo cinquantennio nella società occidentale per varie cause storiche si è avuta una accentuazione della cultura individualistica. Gli individui, a causa anche della concezione economicistica dominante, che punta al profitto, sono stati spinti a ricercare l’affermazione di sè, il successo e il benessere personali, al di fuori e prescindendo dalle relazioni con gli altri. Il perseguimento degli interessi individuali prevale sulle esigenze della vita di relazione.
Le spinte egoistiche nell’economia provocano disuguaglianze, ingiustizie e l’affermazione del più forte. Complessivamente, si ha una perdita della giustizia nella società, come ha rilevato Papa Francesco il 1° maggio scorso con riferimento alla “concezione economicistica della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale” [1].
Ciò si sta verificando anche qui in Guatemala, dove le grandi imprese sfruttano le risorse del Paese senza curarsi degli elementari bisogni della popolazione, in particolare di quella Maja. I deboli rimangono esclusi e senza tutela, la sopraffazione sociale ha il sopravvento, tutto ciò determina violenza e criminalità.
La giustizia
Da dove iniziare per ricostruire la società?
Proprio la mancanza di giustizia nella società fa pensare che occorre costruire una società più giusta. Ciò spinge a domandarci che cos’è la giustizia.
Tutti percepiamo una ingiustizia se uno o più uomini vengono offesi o limitati o repressi nelle loro persone o nei loro diritti. Ugualmente noi percepiamo che una società è ingiusta se una parte della stessa vive in condizioni sub-umane per grandi disuguaglianze sociali o se non è assicurata la giustizia ai più deboli oppure se il bene comune non viene perseguito a causa dei privilegi o della corruzione, che procurano interessi ingiusti a singoli e a gruppi.
Se ricorrono queste condizioni di ingiustizia, come si può attuare la giustizia?
Della giustizia si sono date molte definizioni. Possiamo considerare qui, per il suo rapporto con la fraternità e il diritto, la splendida definizione della giustizia data da sant’Agostino. Questi definisce la giustizia “Quella disposizione dell’animo che, mentre custodisce il bene comune, accorda a ciascun uomo la dignità che gli è propria”. Come si vede, qui la giustizia consiste nel: custodire il bene comune e nel tutelare la dignità di persona di ciascun uomo e donna. Questi due aspetti della giustizia non sono separati. La realizzazione del bene comune aiuta ad assicurare a ciascuno la propria dignità, e viceversa.
La giustizia, dunque, deve permeare i comportamenti personali con i quali rispettiamo la dignità di persona di ogni uomo e donna, e deve permeare i rapporti e le strutture della società.
Come realizzare questi obiettivi? Qui la fraternità può svolgere la sua funzione.
La fraternità
Come va intesa la fraternità? Quale è il suo ruolo per la trasformazione della società?
La vita relazionale – come avvertono gli studiosi (Beck, Levinas, Simmel, ecc.) – è il tessuto connettivo della società, è ciò che la fa esistere. “La vita della società consiste nelle relazioni reciproche dei suoi elementi, relazioni reciproche che in parte si sviluppano in azioni e reazioni momentanee ed in parte si consolidano in strutture definite: in uffici e leggi, ordinamenti e proprietà, lingua e mezzi di comunicazione” [2].
Bisogna che le relazioni umane e sociali, la vita della società, le sue strutture e i suoi ordinamenti, nonché il linguaggio e i mezzi di comunicazione, siano intrise della fraternità.
Ma come praticare la fraternità?
Fraternità è anzitutto considerare che tutti gli uomini sono fratelli. Quindi nessuna discriminazione deve esserci nei confronti di nessun componente la famiglia umana. Il programma di come vivere la fraternità, mi sembra che sia già racchiuso nell’art. 1 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Nella prima parte di questo articolo si afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti”. Allora, l’atteggiamento da avere verso ciascuno e verso tutti è vederli come esseri umani di cui va salvaguardata la libertà, che hanno ricevuto quando sono nati, e la loro uguaglianza.
Ma, c’è un modo concreto, una motivazione sufficiente, di praticare la fraternità?
Noi di “Comunione e Diritto” abbiamo constatato, attraverso l’esperienza e la vita, che la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich, che pone l’uomo al centro, può indicare la via e i modi per rispondere agli anzidetti interrogativi. Proprio con l’amore a ogni uomo in tutti i rapporti sociali e in tutte le situazioni di vita si rispettano la sua dignità di persona e i suoi diritti. E, con l’amore verso tutti gli uomini si attua l’uguaglianza di tutti.
La spiritualità dell’unità, quindi, ha una portata universale [3].
La trasformazione sociale
Giustizia e fraternità devono ispirare sia il diritto pubblico che il diritto privato. La giustizia è “la prima via della fraternità” [4]. La fraternità, poi, può stabilirsi sulla giustizia attuata.
Il diritto pubblico deve tendere alla salvaguardia della giustizia nella società, e ciò si attua sia col tutelare i diritti inviolabili di ogni uomo e donna (Stato di diritto) sia col perseguire il bene comune (Stato sociale). Bene comune sono le condizioni buone di vita della collettività, che consentono pure il bene delle singole persone. Queste condizioni sono rappresentate dai c.d. beni comuni (qualità della vita, legalità, lavoro, ambiente, salute, cultura, informazione, ecc.). Di questi beni tutti debbono poter godere.
Garantire la giustizia nella società, inoltre, è consentire a tutti i cittadini la partecipazione politica, cioè la partecipazione alle decisioni politiche. Ed è avere una amministrazione della giustizia efficiente, che difenda i cittadini, contrasti corruzione e criminalità.
Il diritto privato deve mirare ad assicurare lo svolgimento giusto dei rapporti interpersonali. Sappiamo che quando viene violata la giustizia con l’offesa al prossimo, l’intervento della magistratura può soltanto, in qualche modo e misura, riparare i danni. Le norme giuridiche dovrebbero aiutare a tenere comportamenti giusti, e sono tali i comportamenti con i quali ciascun soggetto dei rapporti rispetta i diritti dell’altro, e ciò reciprocamente.
Applicazioni alla realtà sociale del Guatemala
E’ vero: in Guatemala c’è da costruire lo Stato con “le sue istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale”, affinchè siano tutelati i diritti di tutti. Tuttavia, a me sembra che due esigenze si impongano prioritariamente: riconoscere piena cittadinanza alla popolazione Maja e assicurare l’accesso all’istruzione di tutti i ragazzi e giovani. Per ottenere questi due risultati occorre un forte impegno politico in modo che lo Stato provveda alle suddette esigenze [5].
Giovanni Caso
[3] Chiara e le sue prime compagne avevano colto nel Vangelo che amare Dio è mettere in pratica i Suoi comandamenti, e il principale di questi comandamenti è quello dell’amore del prossimo. Pertanto erano state spinte anche dalle circostanze concrete (la guerra in atto con le situazioni di sofferenza umana) ad aiutare i più poveri della città di Trento; e, dato che Dio è Amore, avevano sperimentato attraverso l’amore del prossimo l’amore di Dio. Avevano poi compreso che dovevano estendere tale amore ad ogni uomo in tutti i rapporti quotidiani. L’amore a ciascun uomo, in cui Dio è presente, è diventato il centro della loro vita cristiana e la strada per andare a Dio. Da qui è nata una spiritualità da vivere nel mondo, basata sull’amore all’uomo, che crea la comunione.
[5] Afferma la Caritas in Veritate: “Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di polis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d’incidenza nella polis” (n.7).