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Castelgandolfo, 19 novembre 2005

2SESSIONE DI DIRITTO PRIVATO

Relazioni giuridiche e fraternità

Oscar Eduardo VazquezOscar Eduardo Vazquez, Magistrato e docente di diritto processuale civile, Università del Congresso – Mendoza – Argentina

 

 

Il titolo del nostro convegno richiama la relazionalità nel diritto.

Per affrontare questo argomento non si può certo prescindere dal diritto privato, che per natura propria è campo privilegiato dei rapporti che nascono nell’esperienza quotidiana, e si esprime in regole che cercano di fondarli nella dimensione della giustizia. I rapporti tra le persone danno poi vita a un gruppo, a una comunità.

Quando un rapporto viene rotto, sopravviene nel gruppo un trauma[1]: è quanto risulta dall’esperienza storica .

Nel raccogliere le estreme difficoltà, in cui, di solito, si dibatte la convivenza a tutti i livelli e le sfide che si pongono alle regole della convivenza stessa, abbiamo sperimentato che l’idea di fraternità aiuta i soggetti nei loro reciproci adempimenti e, quindi, sostiene il normale svolgimento dei rapporti[2].

Così, allora, in una visione di fraternità, la forza motrice del rapporto non sarebbe l’interesse personale ed egoistico, ma l’amore fraterno che spinge ad unirsi all’altro, a costruire e ri-costruire la comunità.

Non stiamo, ora, chiudendo gli occhi sull’esistenza di interessi egoistici nella società, o perfino, sulla malvagità umana che provoca i conflitti. Il “conflitto”, infatti, è un dato sociologico, di cui il diritto tiene conto[3], ma il diritto non è di per se stesso il conflitto: è uno strumento (anche se non il solo) che serve alla prevenzione e soluzione di quel conflitto, un mezzo per andare verso l’unità dei componenti del gruppo[4]. Il diritto esprime dunque le forze costruttive dell’uomo, non quelle distruttive.

In questo senso, ricordiamo quanto ci ha detto il Prof. Goria ieri, cioè che il diritto “ha come fine la permanenza ordinata del gruppo, e, al suo interno la pacifica coesistenza dei soggetti che lo compongono, in modo che siano ridotti al minimo, e rapidamente risolti, i conflitti fra loro”[5]. Sostenendo, tra l’altro che esso non si ferma mai ad un rapporto particolare, ma che il rapporto viene posto sullo sfondo dell’intero gruppo e nel suo ordinamento: così come in una famiglia i rapporti non si svolgono solo tra un fratello e l’altro, ma incidono sempre sull’intera famiglia[6].

Il diritto privato richiama, dunque, ad una responsabilità verso la comunità ed insieme verso le altre persone, valorizza le realtà associative ed economiche che possono perseguire un miglioramento economico e sociale, sviluppa i diritti umani; tutto ciò al di là dell’intervento o meno dell’autorità pubblica[7].

Comunque, quando l’autorità pubblica interviene su rapporti privati con leggi vincolanti, lo fa, anche, in vista della dimensione comunitaria e della tutela di valori collettivi, mediante sanzioni, di cui il soggetto obbligato non può disporre o che non può evitare che siano applicate[8]. Così avviene, per esempio, quando si sanzionano con la nullità certi atti che contraddicono la finalità comunitaria, in quanto mascherano il perseguimento dell’interesse di uno solo dei soggetti (ad es. il negozio in frode alla legge). Se, poi, i valori del rapporto richiedono una tutela ancora maggiore, la sanzione esce dall’ambito del diritto privato per incardinarsi in altri, come il diritto penale tenendo conto della dimensione comunitaria e del dovere di rispettare i diritti fondamentali della persona.

In sostanza, dunque, il diritto parte da un dato di fatto: la vita concreta quotidiana delle persone, di un gruppo e la loro tensione verso un rapporto di fraternità. Per mantenere queste relazioni, lo Stato può favorirle attraverso leggi, che impongono norme suppletorie, sanzioni, ecc[9].

Così ad esempio, nell’ambito della disciplina delle società commerciali e dell’impresa, la legge dello Stato apre o chiude la possibilità di decisione ai componenti del gruppo[10], ai quali concede o nega incentivi[11]. Se li concede nella prospettiva della fraternità, il diritto d’impresa può trovare un rapporto di servizio reciproco con l’economia, allo scopo di percorrere con essa una strada che superi la povertà e l’ingiustizia. E così la fraternità può arrivare ad esprimersi – come vedremo- in condivisione dei beni.

Nell’ ambito della famiglia, poi, si vede palesemente come la legge statale possa favorire o sfavorire determinati gruppi di convivenza. Lo Stato può tutelare in modo permanente la famiglia, non solo dal punto di vista del diritto privato, ma anche pubblico, riconoscendo in tal modo che non c’è società senza la pre-esistenza del nucleo familiare, pietra angolare su cui poggia[12]. Tuttavia, lo Stato può anche svantaggiare la famiglia con leggi erronee oppure favorire maggiormente altri gruppi a suo scapito. Questo esige una attenzione accurata e preferenziale nei confronti della famiglia attraverso interventi legislativi, che non si traducano in danno, anche se involontario, come a volte purtroppo l’esperienza ci ha dimostrato.

Il concetto di “fraternità” ha nella famiglia una valenza intuitiva ed etimologica e la sua matrice sociologica è evidente. La famiglia è il “luogo” dove nasce la fraternità, con i conseguenti valori di solidarietà, affetto, cooperazione che ”legano” i suoi membri. Nella famiglia è più naturale la condivisione dei beni, l’accoglienza, la correzione fraterna, la cura dell’altro, della casa comune, la trasmissione di conoscenze, la circolazione sana delle notizie. Questi comportamenti

si realizzano, poi, nella vita del cittadino, nella misura in cui sono stati vissuti anche in qualche maniera in famiglia.

Il conflitto familiare risulta conseguentemente un forte trauma. Il diritto svolge a questo riguardo un lavoro sia di prevenzione che di riparazione, dove il primo aspetto è il più importante. Le leggi statali cercano soluzioni nell’accordo e nel rispetto degli impegni che ogni membro della famiglia si è a suo tempo assunto. Tuttavia la famiglia, è proprio il gruppo sociale che più di ogni altro mostra come il diritto non possa pretendere di essere né il solo né il più importante strumento per risanarne la crisi e la frattura: ha bisogno del concorso di altri attori sociali, come psicologi, sociologi, medici, ecc..

Il diritto, tuttavia, per parte sua, può cooperare in maniera significativa nel collocare la famiglia all’interno del suo disegno naturale, cogliendone la congenita tensione all’unità sia a livello legislativo che applicativo. Qualora questa tensione naturale all’unità ispirasse a sua volta le regole della famiglia umana, forse il mondo potrebbe sperare in un diritto maggiormente al servizio dell’uomo.

 



[1] G. CASO, Comunione e Diritto, 2005, p. 127.

[2] Id., p. 128.

[3] Fenandez Sessarego, Apuntes sobre el abuso de la personalidad jurídica, Revista de Derecho Privado y Comunitario, Buenos Aires, to. 16, pág. 21, nota 19: “si Caín no mata a Abel no hay Derecho”

[4] Ves Losada, El derecho como experiencia, Abeledo-Perrot, Buenos Aires.

[5] F. Goria, Riflessioni su fraternità e diritto, in questo volume.

[6] Id.

[7] M. Aquini, Fraternità e diritti umani, inedito.

[8] F. Goria, id.

[9] Lorenzetti, Teoría General del Derecho de Familia: el conflicto entre los incentivos individuales y grupales, punto II, in Rivista de Derecho Privado y Comunitario, Buenos Aires, to. 11.

[10] Id., to. 13

[11] Id., to. 12, pág. 9; id. Análisis Crítico de la Autonomía Privada contractual, Revista Jurisprudencia Argentina, to. 1994-III-955. Su una visione generale sul ruolo dei gruppi sociali nel Diritto, si veda anche Zavala De Gonzalez-Gonzalez Zavala, Identidad grupal o colectiva, Rev. La Ley, Buenos Aires, 27-3-98.

[12] Zannoni, Derecho de Familia, Astrea, Buenos Aires, to. 1, p. 25, nº 7.

 

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