«Nella crisi di civiltà, autentica notte culturale, che stiamo vivendo e che investe ogni settore della vita umana, si va smarrendo il senso e il valore della relazione. Saprà il diritto riscoprire la propria funzione di strumento utile per la costruzione di relazioni giuste tra gli uomini e società e venire incontro all’ esigenza di giustizia presente nel cuore umano?»
Chiara Lubich
Le origini, la proposta, le sfide
Il mondo d’oggi nella pluralità delle culture, ma frammentato e conflittuale, ci interpella e domanda una rinnovata riflessione quasi a dar voce all’esigenza di una comprensione più vera anche del diritto stesso, come strumento capace di comporre una convivenza, per quanto possibile, pacifica. Nasce da questa scintilla e dall’impegno di tanti, “Comunione e Diritto”, rete internazionale di giuristi, studenti e operatori dei più vari campi del diritto nel mondo.
I prodromi
I primi passi si sono compiuti agli inizi degli anni ’90 a Roma – e quasi contemporaneamente in altre città italiane e in altre Nazioni, tra le prime l’Argentina – quando piccoli gruppi di operatori della giustizia hanno iniziato a incontrarsi regolarmente per scambiarsi le proprie esperienze lavorative. Erano avvocati e magistrati e si vedevano spontaneamente per un momento di confronto e di condivisione, per sempre meglio svolgere la propria professione.
Il vedersi è stato per tanti uno stimolo, una crescita, nella consapevolezza del valore degli sforzi che compiamo, delle contrarietà e insuccessi che affrontiamo. Insieme si sono illuminate le scelte, si sono rafforzati determinazione e impegno.
Ne è nato uno “stile” di operare in e per la giustizia, e al contempo una chiave di lettura della realtà giuridica e della funzione giudiziaria, unitamente al desiderio di esserne testimoni nel proprio ambiente.
Sono iniziati i primi appuntamenti mensili, caratterizzati da una partecipazione libera e intensa delle persone, impegnate nel mondo del diritto. Gli incontri sono diventati un luogo dove poter donare condividere le proprie esperienze, riscoprire il positivo della propria professione e ritrovare l’entusiasmo di viverla per la finalità della giustizia.
La scelta del nome: Comunione e Diritto
Dall’esperienza è maturata così la scelta di una denominazione che ne riflettesse l’idealità: “Comunione e Diritto”, a significare che la comunione, come stile di vita, precede il diritto, o almeno, tutti possono contribuire a generarla.
Il diritto del resto può essere uno strumento per favorirla: stimola la ricerca di giustizia presente in ciascuno e aiuta a realizzarla, regola il rapporto entrando in esso per costituirlo rettamente, prima che curarlo nella sua patologia; ci insegna come vivere, ci avverte che alcuni comportamenti creano divisione, rotture; ci dà anche, nella gravità della sanzione prevista per essi, un certo criterio per misurare il grado della loro incidenza nella vita della comunità. La reciprocità nelle relazioni richiama ciascuno ai doveri verso l’altro titolare di diritti.
Ma la “comunione” vuole indicare anzitutto un metodo di lavoro: quello dell'ascolto reciproco e del dialogo. Si mettono in comune a livello internazionale conoscenze, riflessioni, problemi, esperienze e iniziative e ne nascono confronti, osservazioni e suggerimenti, proposte di collaborazione. L'esperienza del resto ci ha insegnato che i passi avanti duraturi non si fanno isolatamente, ma insieme, in una ricerca condivisa di risposte alle tante sfide.
1ᵃ Sfida: le diversità fra tradizioni e culture giuridiche,
fra sistemi normativi, civil law e common law: se oggi la globalizzazione appare livellare e omologare, abbattere confini tra gli Stati eppure non unire, lo scenario del mondo non può essere affidato unicamente alle soluzioni inerenti alla Governance; domanda un “percorso” che si snoda tra ordinamenti e culture, principi e regole. Del resto, il diritto interviene a regolare i rapporti ai più vari livelli nella Comunità. Sono le molteplici espressioni della vita, che ci pone gli uni accanto agli altri. Ricominciare dunque dalla relazionalità, essenza e natura del diritto, che regola le relazioni tra persone, tra queste e il mondo esterno, dentro e tra le istituzioni, quale sua materia, al di là di ogni formalismo e ‘oltre’ ogni astrazione.
Ma lo stesso vocabolo, “comunione”, diventa anche un obiettivo: operare perché le concrete relazioni umane che si svolgono sotto il segno del diritto costituiscano un'occasione di reciproca comunione; aiutino le parti coinvolte a conoscersi e riconoscersi reciprocamente nella rispettiva dignità e nelle rispettive esigenze; consentano di aprirsi al confronto e alla collaborazione, andando oltre ruoli e contrapposizioni che interessi divergenti possono generare, e che il diritto astrattamente riflette.
Il diritto per così dire definisce il copione, ma è vero che la “recitazione” la fanno persone concrete, con un volto e una storia, e la possono fare in modi molto diversi. L'esperienza ci ha convinti che una tale “recitazione”, quando sia aperta all'altro e ai suoi problemi, permette al rapporto giuridico di ottenere esiti migliori e più costruttivi per tutti, anche in situazioni di conflitto.
Il diritto a sua volta conosce l’esperienza e si fa vita: la giuridicità entra nella quotidianità delle relazioni, nella vita associata; e nell’intersecarsi delle condotte il diritto “vive” in quella che diventa “esperienza giuridica”. Uno spazio, ci sembra, nel quale poter offrire un’inversione di tendenza: dallo s-contro all’in-contro, dal conflitto alla riconciliazione, fino a generare la comunione quale via che può consentire di superare quell’incomunicabilità per la quale «al singolare gli uomini si ignorano; al plurale, si combattono»[1].
Anche la Storia, così significativa per il diritto e il pensiero giuridico, può scrivere nuove pagine. Nel tempo, quando libertà ed eguaglianza furono rivendicate come diritti inalienabili delle singole persone, si affacciò specie dopo i drammatici conflitti mondiali del ‘900 un rinnovato richiamo alla fraternità, ripresa nell’Universal Declaration of Human Rights (10 dic. 1948, art.1). Eppure, la stessa appare un valore perduto, o sostituito dalla solidarietà.
2° sfida: la fraternità come paradigma
Quale dunque oggi il contributo del diritto?
La domanda interpella giuristi di vari Paesi, che si ritrovano insieme nel Congresso internazionale del 2005 dal titolo Relationships in law: is there a place for fraternity? Il tema si è posto per Comunione e Diritto come una nuova sfida: quella di verificare la fraternità come possibile paradigma, per conseguire forme di coesione sociale senza comprimere libertà ed eguaglianza dei singoli. Nella cultura contemporanea il diritto sembra infatti perdere la propria funzione di essere espressione dell'unità del di un popolo (o dei popoli), a cui si riferisce, per diventare sempre più un diritto di singoli individui, separati e isolati, un diritto pertanto incapace di conciliare le singole libertà individuali in una convivenza di condivisione e inclusione.
Se lo stesso pensiero giuridico ha prodotto nella storia abusi ed esclusioni, viviamo un tempo nel quale al diritto, nato per tutti, è chiesta una misura ‘oltre’ la sola tutela individuale, per divenire strumento efficace di coesistenza, e contribuire ad aprire nella vita di ogni collettività vie di comunione, nella quale i soggetti possano vedere non solo tutelata, ma pienamente realizzata la propria identità.
La storia di un popolo è storia di vita, storie quotidiane che hanno nomi e volti di persone, anche se sconosciuti ai più. Sono i tanti a cui ogni norma si rivolge con le sue regole. Eppure oggi la gente, nella sua molteplicità che ‘nasconde’ fra i tanti il volto degli ultimi e degli esclusi, è forse il soggetto dimenticato. Lo è nella realtà, tutte le volte in cui cala il silenzio sui drammi umani personali, o dinanzi a “guerre” consumate nelle faide o nelle battaglie che non fanno notizia, perché ormai della quotidianità. Pensiamo ai Paesi dell’Africa, lontani dai nostri sguardi, ma anche alle tante vittime delle violazioni più diverse dei diritti umani fondamentali, vittime innocenti a cominciare da una vita negata.
Ecco, per il diritto, un ulteriore orizzonte che coincide con la ricerca di giustizia per tanti, e il bene comune per tutti.
Il diritto può esserne strumento? Esiste lo spazio dell’accordo?
«Il problema dell’accordo – ha spiegato il giurista Carnelutti – è il problema dell’universo, cioè dell’uno nel diverso». Così l’accordo, che nella musica presuppone almeno due voci o due note, varrebbe anche per il diritto che, per il suo carattere intersoggettivo, nasce da un accordo[2]. Il diritto, del resto, si esprime nelle regole per la convivenza tra due o più: dalla famiglia alle associazioni, dalle istituzioni ai governi dei popoli, fino ai rapporti tra gli Stati. Non vincoli, ma rapporti, a cominciare dalla fondamentale relazione di riconoscimento dell’altro e degli altri, come soggetti pari a me.
Ed ecco lo spazio possibile per la fraternità, intrinsecamente legato con il carattere relazionale del diritto e capace di orientare sia l'attività normativa a livello nazionale e internazionale, sia l'interpretazione delle norme stesse, sia il comportamento dei singoli soggetti del mondo giuridico, per tessere legami nel tessuto sociale.
Ma vorremmo aggiungere un altro tassello tipico della vita di Comunione e Diritto:
l’impegno con i giovani, a tutte le latitudini; giovani che ritrovano il senso dei loro studi e nuova spinta all’impegno nell’edificazione della convivenza. Si organizzano per loro, a livello internazionale, Summer Schools sui “temi” più attuali e complessi, per darne una lettura il più possibile condivisa.
In un messaggio rivolto a loro, l’avv. Maria Voce, attuale Presidente del Movimento dei Focolari, così scriveva nel febbraio 2011: «ci vuole un fortissimo impegno […], uno sguardo che sa cogliere nel tempo di oggi quei segni che danno la speranza e indicano la strada da percorrere insieme per costruire un mondo dove la dignità umana sia davvero compresa e rispettata».
Anche esperti e studiosi diventano protagonisti: in Brasile si è costituito presso l’Università di Florianopolis il Nucleo di ricerca permanente su “Diritto e Fraternità”; si portano avanti Progetti di ricerca, Tesi di laurea e Dottorati.
L’orizzonte si allarga ulteriormente per dar vita, con il Convegno internazionale del 2015 su Ambiente e diritti: fra responsabilità e partecipazione, a un dialogo fra il diritto e le altre scienze. Al di là di un formalismo che chiude il diritto nella norma, lo si vuole aprire piuttosto a una domanda: «Ma il diritto è veramente riducibile a norma, o la norma è solo uno degli aspetti, forse il più vistoso, ma non quello che esaurisce in sé tutta la realtà giuridica?»[3].
L’oggi pare dettare per Comunione e Diritto un’agenda: promuovere una cultura indirizzata alla comunione, come risposta alle tante frammentazioni. Pensiamo, fra i vari ambiti, al lavoro e all’impresa con le loro “reti” di relazioni; pensiamo all’ urbanistica e assetto delle città, perché queste ultime non siano i luoghi delle «regole capovolte», ma siano “palestra di reciprocità”, aperta alle relazioni anche fra i popoli. È chiesto un rinnovato impegno, affinché i diritti inviolabili siano davvero tali, e per tutti costituiscano sempre e comunque un limite invalicabile.
Da dove cominciare? Si tratta, forse, di saper ascoltare anche il silenzio di chi non ha voce e che, con il suo solo esistere, è portatore di una «pari dignità sociale». Sono i tutti per i quali il diritto è nato, quel diritto che tutti ci riguarda, perché comincia dal riconoscere con la vita che chi è accanto a me è altro me con pari dignità, come la fraternità esige.
Un tempo, dunque, non solo per ascoltare le domande poste da altri, per farle nostre, ma per porre a noi stessi delle domande.
3ᵃ Sfida: dar vita a “prove di dialogo” fra popoli e culture, oltre le differenze
In tal senso, un tema di estrema attualità, come la tutela dell'ambiente, ha potuto offrire, attraverso le molteplici analisi dal mondo, una prospettiva di senso e di profondo significato. Il problema dai mille volti, e fonte di innumerevoli conflitti ambientali, che riguarda oggi non solo gli organismi internazionali o gli enti pubblici locali, che devono emanare leggi o regolamenti e vigilare sulla loro applicazione; riguarda piuttosto tutti gli abitanti di un luogo, le generazioni presenti e future, ed esige partecipazione.
Così, proprio nel riconoscimento di un “diritto di partecipazione” delle Comunità, si è presentata in nell’occasione del Convegno (2015) una Proposta di legge che lo sancisca, allorché le decisioni riguardano l’ambiente, casa comune per l’umanità.
Di più, ci sembra che l’Ambiente possa diventare “metafora” del diritto ed essere assunto come rappresentativo del diritto stesso. Infatti, se la tutela dell'ambiente ha lo scopo di impostare correttamente il rapporto degli esseri umani con la natura, il diritto nella sua essenza ha a sua volta lo scopo di impostare correttamente (cioè secondo criteri di giustizia) le relazioni degli esseri umani fra di loro. E tale complesso di relazioni non potrebbe essere qualificato come “ambiente dei rapporti umani”, che può come tale favorire o al contrario rendere più difficile la vita collettiva, la nostra quotidianità? E ciò a ogni latitudine.
Qualche sviluppo nel mondo
Nella rete di relazioni, Comunione e Diritto amplia nel tempo il suo orizzonte e apre vie di dialogo.
Negli USA, presso la Fordham University di New York, si è formato un gruppo di docenti con una peculiarità: l’appartenenza ad almeno quattro confessioni religiose, cristiana, ebrea, buddista e musulmana. Questo Il gruppo, aperto al contributo di altri giuristi esterni all'Università, dopo aver partecipato attivamente a diversi appuntamenti internazionali di “Comunione e Diritto”, ha intrapreso negli USA un interessante cammino di approfondimento sul tema "L'amore al prossimo e la legge". Uno spazio di ascolto e dialogo, quasi a sottolineare l’impegno di tanti in quella “prossimità”, che nelle parole di Martha Nussbaum chiede di arrivare a “preoccuparci del bene di altre persone le cui vite sono lontane dalla nostra”[4]; quel vissuto dell’altro che in qualche modo ci appartiene.
Necessità o utopia?
Dinanzi alle molteplici domande che l’oggi dell’umanità pone anche al diritto, il cammino è andato avanti in un percorso di ricerca, sfociato nello studio a livello internazionale sulle “tracce della fraternità”. Un dialogo aperto tra sistemi normativi nel mondo, in un confronto fra giuristi di vari Paesi attorno a un principio e al suo fondamento: può la fraternità, dimenticata dalla storia, informare il diritto e comporre le tante diversità senza sopraffazioni?
Anche in Sud America, dove sono sorti diversi gruppi di Comunione e Diritto, si porta avanti lo studio della fraternità nel diritto, dandone spazio nei convegni. Così in Colombia, a Bogotà e in sedi universitarie. Accanto allo studio ci sono si svolgono attività concrete, condotte con passione e concretezza da professionisti e studenti. È nata qui un’iniziativa all’avanguardia, che prende il nome di “Progetto Innocenza”, promosso dalla Facoltà di Legge dell’Università Manuela Beltrán di Bogotà. Il progetto mira a riaprire gratuitamente casi di persone condannate ingiustamente, ma prive delle risorse economiche necessarie per pagarsi la propria difesa.
L’iniziativa nasce nel 2007. “I casi che, in genere, più frequentemente si affrontano sono quelli che hanno a che vedere con una negligente o ingiusta identificazione e individualizzazione degli autori dei delitti. Sono i casi in cui i funzionari giudiziari omettono di fare adempiere fedelmente ai loro doveri e che per atti di negligenza, poca formazione, mancanza di prove o false testimonianze, ma anche corruzione, comportano decisioni sbagliate, che condannano ingiustamente una persona”.
Il “Progetto Innocenza” è composto da una equipe interdisciplinare di lavoro, della quale fanno parte avvocati, psicologi, detective e, naturalmente, studenti di tutte le varie aree di studio. Al colloquio con i detenuti partecipano un avvocato professionista, uno psicologo e generalmente studenti di diritto e psicologia: “non si perde mai di vista il fatto – sottolinea il direttore del Progetto – che potrebbe trattarsi dell’unica opportunità che ha questa persona per essere ascoltata”.
Al “Progetto Innocenza” arrivano casi come sequestri, omicidi, delitti sessuali, estorsioni, riciclaggio di denaro sporco, casi dietro ai quali però ci sono persone ingiustamente accusate e private della libertà. Come il caso di Manuel Mena, condannato a 17 anni di carcere per un omicidio non commesso. Dopo tre anni e mezzo in prigione, ed un lavoro rigoroso portato avanti dalla equipe dell’Università, per analizzare prove e fatti, la Corte Costituzionale ha annullato la sentenza di condanna ordinando l’immediata scarcerazione.
Un salto in Africa, a Kinshasa (Congo), dove una giovane, avvocato, che ha partecipato a un convegno a Roma, ha iniziato ad incontrarsi con altri operatori giuridici. «La nostra giustizia non è del tutto indipendente – ci dicono – incontriamo tantissime difficoltà e contraddizioni. Tante sono le sfide, e il coraggio di andare avanti lo attingiamo dalla proposta di Comunione e Diritto».
Un esempio viene da un giudice ormai in pensione, ora consulente di associazioni per i minori: «Ho lasciato la magistratura con un grande dolore in cuore – scrive – Avevo cercato di lavorare onestamente e mi ritrovo poverissimo, paragonandomi ad amici e colleghi che hanno accettato compromessi. Lo spirito di Comunione e Diritto mi ha tolto questo dolore. E’ questa la ricchezza che voglio lasciare a chi mi segue». (Paul Maziku)
Nel Sud della Spagna, una professoressa di Diritto privato dell’Università di Almeria, Belen Sainz Cantero, ha avuto l’opportunità di costituire all’interno dell’Università uno strumento che permette a docenti e studenti di avvicinarsi ai principi di “Comunione e Diritto”: il 6 maggio 2008 il Consiglio dell’Università ha approvato all’unanimità la creazione del “Seminario Permanente Chiara Lubich di diritto e etica sociale”. La piena adesione del Consiglio si giustificava con la speciale rilevanza del pensiero della dr. Lubich e dei progetti sociali, cui aveva dato vita con il Movimento dei Focolari, da lei fondato e diffuso in tutto il mondo, e rispondeva all’esigenza sentita di internazionalizzazione dell’Università stessa.
Nato per la formazione, la ricerca e la consulenza in materia di diritto e etica sociale il "Seminario internazionale Chiara Lubich" ha collaborato con l'Università in vari settori; è parte della Commissione di Bioetica presso l'Università di Almeria, incaricata di valutare le condizioni etiche dei progetti di ricerca che ricevono finanziamenti pubblici. Fornisce l'accesso a vari forum internazionali di dialogo e di formazione nelle diverse discipline. Attraverso studi, approfondimenti, convegni, scambi culturali, i docenti e gli studenti di Almeria approfondiscono le questioni giuridiche, alla luce degli studi di “Comunione e Diritto”, partecipano ai Convegni internazionali e ai seminari dedicati agli studenti, orientano i loro studi e la preparazione alle professioni giuridiche avendo in primo luogo a cuore la fraternità.
Non di minor valore sono gli impegni dei singoli: una procuratrice filippina a Cebù si batte per una giusta tutela dei minori, in primo luogo delle bambine, troppo spesso ancora abusate. E lavora, rischiando in prima persona, per rispondere al grido di dolore di questi piccoli, e per fare giustizia, nonostante le iniquità, la mancanza di giudici, la lunghezza dei processi… Si impegna inoltre nella formazione degli agenti di polizia, in modo che siano loro stessi in prima fila a tutela dei più indifesi. Proprio per il suo impegno ha ricevuto vari, importanti riconoscimenti.
Oggi, Comunione e Diritto, nell’impegno diffuso per una rinnovata cultura giuridica, intende far proprie le sfide del nostro tempo, perché la responsabilità diventi apertura alla comunione tra singoli e popoli; la legalità si faccia sollecitudine alle esigenze della persona, quale orizzonte di senso nell’osservanza delle norme; la giustizia, custode delle relazioni nella pari dignità; e la fraternità, progetto non utopia.
Ma occorre, ne siamo consapevoli, declinare in forma rinnovata le categorie giuridiche, antiche certo, eppure rese nuove per la comunione, a cui dare vita.
Un orizzonte, ci sembra, al quale neanche il diritto è estraneo. Anch’esso, infatti, con i suoi principi, può concorrere alla dimensione di una fraternità universale, oggi più che mai necessaria a comporre la “famiglia umana”, e trasformare la cultura dell’avere in cultura dell’essere, la pretesa nel riconoscimento del dovuto, e quest’ultimo nel valore più grande di un dono per l’altro.
[1] L'Altro: identità, dialogo e conflitto nella società plurale, a cura di V. Cesareo, Milano, 2004, p. 43
[2] Così F. Carnelutti, Discorsi intorno al diritto, vol. 3°, Padova, 1961, p. 215 ss.
[3] F. Todescan, Compendio di storia della filosofia del diritto, Padova, 2009, p. 350.
[4] M.C. Nussbaum, Poetic justice. The Literary Imagination and Public Life, Beacon, Boston, 1995, p. xvi; trad. it. di G. Bettini, Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile, Milano, 1996, testo oggi rivisto a cura di E. Greblo: M.C. Nussbaum, Giustizia poetica. Immaginazione letteraria e vita civile, Milano, 2012.