BENVENUTI SUL SITO CED

Castelgandolfo, 19 novembre 2005

2SESSIONE DI DIRITTO PRIVATO

Elementi di fraternità nel diritto d’impresa

Amy Uelmen Amy Uelmen, Direttore dell’Istituto di religione, diritto, etica forense,
Scuola di Legge Fordham University – New York – U.S.A.

Se volessimo identificare l’ostacolo più arduo verso lo sviluppo della fraternità come categoria giuridica nel campo del diritto impresa, lo potremmo indicare nel potere delle grandi multi-nazionali, spesso di origine USA, e nel fatto che sembra focalizzino unicamente l’attenzione sul generare profitti, escludendo altre mete e valori.  Infatti, ciò sembra intrinseco alla struttura del diritto societario.  E’ la famosa frase di  un vincitore del Premio Nobel in economia, Milton Friedman: “l’unica responsabilità sociale di una ditta è di generare profitto.”

Credo che il nostro progetto che intende scoprire il ruolo della fraternità nella legge ci conduca a guardare sotto quelle che sembrano apparenti tensioni, per scoprire quanto spazio c’è per giungere a relazioni di rispetto e persino permeare con l’amore le strutture.

 Vorrei dare due esempi su come il principio di fraternità sia già all’opera nel common law degli USA nell’ambito della responsabilità sociale e governance (amministrazione) delle società, e concludere con segni di speranza che mostrano la fraternità come categoria giuridica anche nella dottrina degli USA.

I.                    Fraternità come principio giuridico già operante nei processi

Prima del mio attuale incarico all’università ho lavorato per cinque anni come avvocato a New York in uno studio che rappresenta soprattutto grandi ditte transnazionali.  Dedicavo la maggior parte del tempo a stendere ricorsi di appello a sentenze sulla responsabilità civile dei produttori.  Lavorando sulla giurisprudenza e la dottrina, mi ha impressionato la profonda tensione che coglievo nella  tort law (legge sulla responsabilità civile da atto illecito). 

Da una parte, c’è l’influsso di quello che nominiamo, “law and economics” (analisi economica del diritto), una corrente potente nella nostra teoria legale, che definisce la tutela ragionevole come tutela “economicamente efficiente.” 

 Richard Posner, giurista e ora magistrato, estremamente influente nel campo del diritto negli Stati Uniti, ha spiegato che la law and economics misura tre cose: “l’entità della perdita in caso di incidente, la probabilità che l’incidente si verifichi e l’onere dell’adozione di precauzioni volte a evitarlo”.  Secondo Posner, “[s]e il costo delle misure di sicurezza o, della modifica del prodotto, qualora fosse inferiore, superasse il beneficio derivante dalla prevenzione degli incidenti, acquisito sostenendo detto costo, la società farebbe meglio, in termini economici, a rinunciare alla prevenzione degli incidenti.”  In tali eventualità, una “impresa razionale volta a massimizzare i profitti pagherebbe alle vittime dell’incidente le sanzioni comminatele per l’illecito anziché sostenere il costo, spesso superiore, che le procedure per evitare la responsabilità comportano,”.

 

D’altra parte, tanti cittadini ordinari che spesso svolgono un ruolo nelle cause civili partecipando alla giuria, tendono a rifiutare quest’analisi economica.  Il settimo emendamento alla costituzione degli USA garantisce il diritto ad essere giudicato da propri pari quando la richiesta di risarcimento è di un certo rilievo, e tanti stati degli USA hanno riconosciuto questo diritto anche nei processi a livello statale.  Anche per una  grande percentuale di questioni che vengono risolte prima di arrivare in tribunale, la giuria di cittadini ordinari getta un’ombra protettiva o  minacciosa sulle trattative.  Per capire il costo della soluzione stragiudiziale, ciascuna parte immagina come reagirebbe alle proprie argomentazioni questo corpo di cittadini ordinari. 

Inoltre, quando alla giuria è chiesto di fare una propria valutazione a proposito della negligenza del convenuto, le linee guida che il giudice dà sono solo di tipo generale.  Per esempio, la negligenza nel common law può essere definita come “assenza di cura ragionevole sotto varie circostanze.”  Il linguaggio economico non compare in questi casi).  Quando gli avvocati inquadrano le loro argomentazioni in termini economici, infatti spesso provocano un forte turbamento nella giuria.

Per fare un esempio concreto, riporto il famoso caso accaduto nel 1977 a proposito della Ford Pinto, che esplodeva in caso di tamponamento, anche se la velocità di marcia era abbastanza lenta.  Sebbene la Ford fosse a conoscenza dei rischi, dopo  un’ analisi su “costi e benefici,” ha deciso che sarebbe risultato meno costoso  rimborsare le vittime, invece che informare il pubblico e revisionare le auto per risolvere il problema. (Nel corso del giudizio) la giuria era furente e oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e non  di 2.5 milioni US$, ha condannato  la società ad un ulteriore risarcimento di $125 milioni per danni punitivi ..  La somma è stata poi ridotta, ma il caso rimane un simbolo importante.  Un membro della giuria in un caso simile ha commentato, “Volevamo far sapere che per quanto grande sia la azienda, noi come membri della giuria, noi in tutto il mondo, non sopporteremo la mancanza di rispetto di queste aziende per la vita umana.”

Può corrispondere al vero che la responsabilità sociale delle ditte sia quella di generare profitti—ma occorre far attenzione — perché evitare la responsabilità per danni è importante per una ditta sana, che genera profitti.  Senza addentrarci in teorie economiche complesse, possiamo dire che il sistema di common law include un meccanismo di responsabilità verso la comunità più ampia, commisurato al senso comune dei doveri.  Anche se viene istruita a giudicare secondo parametri economici, spesso la giuria rifiuterà questi schemi, per seguire invece le proprie convinzioni morali più profonde.  Come ha affermato un professore di diritto: “Nessuno ha suggerito ai membri della giuria di sentirsi in conflitto nel caso in cui una persona comune debba curare gli interessi di un’altra qualsiasi altra persona come fossero propri”.  In definitiva, la regola d’oro: “Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”.

Se si vuole consigliare una grande ditta sul modo di evitare danni di questo tipo, il concetto di fraternità coglierebbe meglio di altre teorie economiche l’essenza dei doveri della ditta, secondo il common law, così come saranno compresi, applicati e interpretati da una giuria di cittadini ordinari.  Almeno in questi casi, la fraternità più dell’analisi economica è “il cuore segreto” della legge, non solo come la desidereremmo, ma anche nella sua applicazione attuale.

 

II - Fraternità come impegno nella “governance” e nella consulenza  alle aziende

Guardando nuovamente all’affermazione  di Milton Friedman —“l’unica responsabilità sociale di una ditta è di generare profitto”— ci chiediamo: come si misura il profitto?  A breve o a lungo termine?  Se si osserva con una lente più ampia, al di là della miopia legata ad un termine trimestrale, si vede meglio come le ditte operano e generano i profitti nel contesto di tanti rapporti diversi: all’ interno della azienda— nei rapporti con gli operai, con i direttori e i soci; e all’esterno, con clienti e pubblico vasto.  Infatti, diversi statuti degli stati degli USA autorizzano esplicitamente i consulenti delle società a prendere in considerazione l’impatto delle decisioni della società su persone che non siano socie.

Le ditte devono considerare, e lo fanno, l’impatto delle loro decisioni nei confronti di chiunque si relazionano — all’interno della ditta, guardando alla sicurezza e al benessere dei dipendenti; o esternamente, nei rapporti con i clienti, per la qualità dei prodotti, e nei rapporti con il pubblico ed il governo.  Gli scettici notano che queste decisioni non sono certo motivate dall’altruismo; questi fattori sono tenuti in considerazione solo per evitare la pubblicità negativa, le multe statali, o le cause giudiziarie—tutto quindi in funzione dell’incremento del profitto.  Tuttavia, qualsiasi sia il motivo sottostante, queste decisioni riflettono l’essenza della natura dell’azienda che è un ente sociale che si poggia su questa rete di rapporti per la sua vita e crescita.

Nel campo della “governance” e della consulenza aziendale, lo spazio per mettere in rilievo questi aspetti è ampio.  Prospettive amorali, specialmente la teoria che fare soldi è l’unica e ultima meta della ditta, contraddicono l’esperienza comune delle ditte, in cui le decisioni sono basate sul fatto che il profitto è solo una misura indicativa dello stato di salute dell’azienda. Sofisticati business plan e consulenze legali  evidenziano che la salute di una ditta dipende da qualcosa di molto più complesso che il crudo margine di profitto in una previsione a breve termine.

 

III - Fraternità come una possibile categoria forte nella giurisprudenza del diritto di impresa

Sicuramente non possiamo dire che la fraternità è in genere il punto focale delle strutture delle ditte e del loro modo di prendere decisioni.  Come allora camminare verso questa visione?

Prima di tutto, penso sia bene chiarire che il diritto in sé non è un ostacolo, e  conferenze come questa sono già un passo importante.  Più tardi rifletteremo su modelli attuali di fraternità nelle aziende. Dobbiamo allora essere creativi nel cercare risorse per una visione alternativa.

Qui vorrei menzionare un autore che quelli che conoscono bene la teoria politica negli USA forse stenteranno a considerare come amico.  Nel suo lavoro, Una Teoria della Giustizia, John Rawls ha tentato di articolare una teoria della giustizia che si basi non sui principi di utilità, ma su un’idea più profonda di giustizia come imparzialità.  Per esempio, in contrasto con la definizione classica di utilità, vista come “il maggior bene per il maggior numero,” propone il principio della “differenza” in base al quale “l’ordine sociale non deve determinare e garantire le prospettive più attraenti di quelli che stanno meglio, a meno che ciò non vada anche a vantaggio dei meno fortunate”[1].

Rawls vede il principio della “differenza” come un modo per andare al di là del solo sentimento e poter dare alla fraternità uno spazio più ampio e universale nelle teorie della giustizia.  Spiega:  “La famiglia, nella sua concezione ideale, e spesso in pratica, è uno dei luoghi in cui il principio di massimizzare la somma dei vantaggi è rifiutato.  In generale, i membri di una famiglia non desiderano avere dei vantaggi, a meno che ciò non promuova gli interessi dei membri restanti”[2].

Se lo prendiamo in rilievo, come concetto fondamentale, esso potrebbe avere un impatto profondo sul modo di guardare al diritto societario. 

 

 

Spunti di fraternità nell’applicazione del diritto d’impresa - Salvador Morillas Gómez - Avvocato

 

Scopo di questa comunicazione vuol essere  quello di riflettere su come la fraternità possa ispirare ed informare i rapporti giuridici che si svolgono nel campo del diritto societario e dell’impresa.

Potremmo dire che ogni norma giuridica, nell’impedire la lesione dei diritti altrui, porta con sé un principio di fraternità. Qui sottolineerò quelle norme e quei principi giuridici che vanno al di là del “neminen laedere” ed impongono dei doveri giuridici la cui osservanza tutela i soggetti dei rapporti.

 

            Eccone alcuni:

1º) Il principio di buona fede: La buona fede è una condotta socialmente considerata come modello che, secondo la coscienza sociale, deve essere conforme ad un imperativo etico dato[3]. Essa corrisponde al dovere di tenere comportamenti corretti e leali nei rapporti, al di là di quanto convenuto tra le parti.

Viene in questo modo resa obbligatoria una condotta etica in tutti i rapporti giuridici privati.

            2º) Il divieto dell’abuso del diritto: secondo il codice civile spagnolo, “la legge non permette l’ abuso del diritto, ovvero il suo esercizio antisociale. Ogni atto od omissione che nelle intenzioni del suo autore, nell’oggetto o in altre circostanze in cui si svolga sorpassi palesemente i limiti normali dell’esercizio d’un diritto, causando danni ai terzi, obbligherà all’indennizzo dovuto e all’adozione delle misure giudiziarie od amministrative che impediscano la continuazione dell’abuso”[4].

            3º) Il divieto della frode alla legge: il codice civile spagnolo specifica che “gli atti portati avanti in forza di una norma, mirando però ad un risultato vietato oppure contrario all’ordinamento giuridico, saranno considerati come eseguiti in frode alla legge e non impediranno l’applicazione della norma che si tentò di eludere”.[5]

Questo tipo di frode è oggi esteso, soprattutto attraverso il comportamento di certi amministratori di società. Pensiamo agli artifici della cosiddetta contabilità creativa, alle imprese fittizie create per eludere norme fiscali, agli atti e negozi giuridici simulati per evitare il pagamento delle imposte, ecc.... In questo tipo di atti, ciò che l’amministratore considera di beneficio per la  gestione dell’impresa, in realtà nasconde lo scopo di conseguire un profitto proprio o di una cerchia ridotta di persone, la lesione di diritti altrui, ovvero dello stesso bene comune generale.

4º) Il principio d’equità: questo principio di carattere processuale s’applica anche nell’ambito del diritto privato, nel campo dei cosiddetti “contratti per adesione”. Si tratta di fare giustizia nel caso concreto, evitando le conseguenze rigorose che l’applicazione d’una norma potrebbe provocare in un dato caso. E’ un criterio d’applicazione delle norme. Tuttavia, come fondamento d’una decisione, il suo uso è piuttosto eccezionale, e deve essere espressamente previsto dalla legge[6].

 

Nell’ambito dei rapporti giuridici commerciali è fondamentale la figura dell’ amministratore o del  legale rappresentante dell’impresa. In questo campo, il lavoro dell’avvocato come consulente giuridico dell’amministratore può orientare i comportamenti e gli atti di quest’ultimo. Egli consente all’amministratore di agire in un senso oppure nell’altro. Esistono più diritti ed interessi legittimi in gioco, divergenti tra loro ed in qualche misura perfino contrapposti. Perciò l’amministratore deve essere ben consigliato dal punto di vista legale per vagliare ed armonizzare tali diritti ed interessi, così da rendere effettiva la cosiddetta responsabilità sociale dell’imprenditore.

A questo riguardo ricordo un fatto accadutomi l’anno scorso. Durante una concitata assemblea  di una società,  un socio minoritario con circa il 20 % delle azioni, esigeva dei documenti dal mio cliente, che è socio maggioritario ed amministratore della stessa società. Per esperienze passate avevamo la certezza morale che le informazioni richieste sarebbero state utilizzate per causare un  grave danno all’impresa. Il mio cliente intendeva rifiutarsi, ma ciò avrebbe leso il diritto d’informazione dell’azionista minoritario. Così, dopo aver studiato accuratamente il caso, gli consigliai una soluzione intermedia: dare solo alcuni documenti e rifiutarne altri. Questo venne evidenziato nel verbale dell’assemblea, redatto dal notaio. Ciò poteva avere come conseguenza una causa giudiziaria. Quando l’altra parte mi chiese le motivazioni della nostra decisione mi resi conto che il suo interesse era fondamentalmente economico. Mi misi in contatto allora col suo avvocato, e presto intravidi una possibile soluzione nella compravendita  delle sue azioni ad un  prezzo superiore. Dopo una difficile negoziazione si giunse a questa soluzione, che mise fine alla situazione di tensione che si trascinava da lungo tempo.

Il cercare di soddisfare gli interessi dell’altra parte, e non solo quelli del mio cliente, e la piena disponibilità di quest’ultimo per cercare di comporre il conflitto, ha permesso in questo caso una soluzione vantaggiosa per tutti.

 

La fraternità può informare il modo di gestire l’impresa.  Un’impresa amministrata bene deve mirare a tutelare gli interessi dei soci, poiché è ragionevole che il capitale frutti convenientemente. Ma ciò non dev’essere in contrasto con l’esigenza di corrispondere un salario giusto ai lavoratori, di offrire servizi che rispettino il principio d’equilibrio degli scambi, di garantire l’equità nei rapporti con i clienti ed i fornitori, ed il rispetto delle norme fiscali ed amministrative. Questo può far calare i profitti economici immediati dei soci, ma permette di aumentare quelli sociali che, nel tempo, favoriscono il buon andamento dell’impresa. Una gestione ispirata dalla fraternità deve tener conto di tutti questi elementi, per mirare al bene di tutti, armonizzando i diversi diritti ed interessi.

L’ordinamento giuridico appresta differenti mezzi agli amministratori delle società, stabilendo principi e norme giuridiche d’attuazione che permettano di agire concretamente nelle diverse cerchie di rapporti nello spirito della fraternità.

 Ad esempio nei rapporti tra i soci occorre cercare il bene di tutti i soci; ciò si può fare già al momento della redazione degli statuti dell’impresa, oppure durante lo svolgimento dell’attività societaria, attraverso l’introduzione di norme statutarie come quella che vieta la discriminazione delle minoranze, oppure consentendo un utilizzo equo del capitale versato.

La legge impone agli amministratori, in via generale, un comportamento diligente, erede di quella diligenza propria del “bonus pater familiae” del Diritto Romano[7].

Questo suppone, tra gli altri obblighi, il rispetto del dovere d’informazione[8], la tenuta della contabilità dell’impresa in modo fedele e leale, l’obbligo di sottomettere i conti a controlli esterni che attestino un’amministrazione diligente. Questo non solo beneficia i soci, in particolare quelli  di minoranza, ma anche clienti, fornitori e pubblico in genere che, nel poter conoscere la situazione patrimoniale dell’impresa con certezza, possono anche impegnarsi con rapporti giuridici e prendere decisioni con più sicurezza[9].

C’è poi la cerchia ampia di rapporti giuridici con i creditori, fornitori, clienti, debitori, ecc... che richiedono il rispetto dei diritti e obblighi di tutti, con la tutela dell’interesse giuridico più bisognoso di protezione (normalmente della parte più debole nella contrattazione).

Possiamo leggere nella prospettiva della fraternità la normativa sulla libera concorrenza, finalizzata a stabilire delle condizioni ottimali di mercato; la legge che vieta la concorrenza sleale[10], la normativa sulla pubblicità[11], che vieta di danneggiare i prodotti concorrenti, ed obbliga a dare un’informazione leale ai consumatori, impedendo la pubblicità ingannevole.

C’è un’altra cerchia di rapporti giuridici nell’impresa che, per la sua importanza ed i principi che lo ispirano, ha un’autonomia propria nel diritto del lavoro. Prevale qui l’esigenza di tutelare la parte più debole, cioè il lavoratore in casi di conflitto, attraverso: 1º) il principio “in dubio pro operaio[12]; 2º) il principio della norma più favorevole[13]; 3º) il principio della condizione più favorevole[14]; 4º) il principio della indisponibilità dei diritti[15].

Il principio di solidarietà si fa evidente nel rapporto tra imprenditore e lavoratore. Su entrambi grava l’obbligo reciproco di adempiere ai propri doveri conformemente ai principi di buona fede e diligenza[16]. Questi doveri si amplificano nei rapporti tra il lavoratore con i colleghi di lavoro, e con le gerarchie intermedie dell’impresa. La violazione dei suddetti doveri può costituire causa di sanzione, e perfino nei casi più estremi, motivo di licenziamento[17].

Anche i rapporti di diritto pubblico hanno a che fare con la vita dell’impresa. Si pensi, ad esempio, a tutta la normativa riguardante l’ecologia[18], avviata a preservare un ambiente favorevole all’interesse della collettività; la normativa fiscale, con la quale si stabilisce un dovere giuridico anch’esso fondato sul principio di solidarietà.

Arriviamo così alla fine del nostro percorso attraverso i diversi rapporti giuridici che si svolgono all’interno dell’impresa. Sono solo spunti indicativi ma ci fanno intravedere come non solo i comportamenti aziendali ma anche l’applicazione delle norme possono ispirarsi alla fraternità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Bologna, p. 77.

[2] Ib. p. 100

[3] L. Díez-Picazo y A. Gullón, Sistema de Derecho Civil, Vol.I, Ed. Tecnos, 3ª ed., p.519

[4] Art. 7,2 del titolo preliminare del Codice Civile spagnolo

[5] Art. 6,4 del titolo preliminare del Codice Civile spagnolo

[6] Art. 3.2 del Codice Civile spagnolo: l’equità si valuterà nell’applicazione di norme, ma le decisioni dei tribunali potranno fondarsi esclusivamente in essa quando la legge lo permetta in modo espresso”

[7] Real Decreto Legislativo 1564, del 22 Dicembre 1989. Così, ad esempio, l’art. 127 della Legge di Società per Azioni, prevede che “gli amministratori svolgeranno la loro carica con la diligenza d’un imprenditore ordinato e di un rappresentante leale”. Non si tratta solo d’evitare un’amministrazione ingannevole, come previsto già dal Codice Penale. Si tratta di applicare certi principi etici minimi, mantenendo l’  attività a dei livelli d’attenzione, dedicazione e prudenza che normalmente si esigono nello svolgimento della Fausto un dovere di fedeltà, fiducia e trasparenza, che rispetti i diritti di tutti i soci, specie quelli di minoranza.

[8] Art. 112 L.S.A.

[9] In quest’ambito conviene ricordare che la contabilità dell’impresa deve seguire i cosiddetti “principi di contabilità generalmente accettati” (Principio di prudenza, principio d’impresa in funzione, principio di registro, principio d’importanza relativa, ecc..), con lo scopo di raggiungere una “immagine fedele” del patrimonio, della situazione finanziaria, e dei profitti dell’impresa (Piano Generale di Contabilità, sancito dal Real Decreto 1643, del 20 Dicembre 1990. Applica le Direttive Comunitarie, specie la Quarta Direttiva del Consiglio 78/660/CEE, del 25 Luglio.). Una contabilità ben tenuta, esercitata nella legalità, permetterà un controllo migliore dei soci, dando beneficio a tutti loro. Senza dimenticare, infine, gli evidenti collegamenti che ciò comporta riguardo alle tasse, poiché permette una giusta applicazione della normativa fiscale.

[10] Legge 3, del 10 gennaio 1991, sulla concorrenza sleale. L’art. 5 stabilisce il principio, per cui è considerato contrario alla lealtà ogni comportamento oggettivamente contrario alle esigenze della buona fede.

[11] Legge 34, dell’ 11 Novembre 1988, Generale di Pubblicità.

[12] Invocato e utilizzato ampiamente nell’ambito della giurisprudenza sociale. Vedere, tra altre, S.T.S. 10-10-1997 (R.J. 7348) e 7-02-01 (R.J. 2510).

[13]  Art. 5. 3 dello Statuto dei Lavoratori. Questo principio è stato applicato anche ampiamente dal Tribunale di Giustizia della Comunità Europea.

[14]  Art. 3.1-c dello Statuto dei Lavoratori.

[15]  Art. 3 dello Statuto dei Lavoratori, e 245 della Legge di Procedura del Lavoro.

[16]  Art. 5.a e 20,2 dello Statuto dei Lavoratori.

[17] Art. 54 e 58 dello Statuto dei Lavoratori.

[18] Come esempio possiamo accennare al Real Decreto Legislativo 1302, del 28 Giugno 1986, per la valutazione dell’impatto ambientale, oppure il Decreto 2414, del 30 Novembre 1961, per il quale sancisce il Regolamento d’attività irritanti, insalubri, nocive e pericolose.

Share this post

Submit to DeliciousSubmit to DiggSubmit to FacebookSubmit to Google PlusSubmit to StumbleuponSubmit to TechnoratiSubmit to TwitterSubmit to LinkedIn
facebook_page_plugin

Questo sito utilizza cookie tecnici, anche di terze parti, per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del sito. Chiudendo questo banner, o continuando la navigazione, accetti le nostre modalità per l’uso dei cookie. Nella pagina dell’informativa estesa sono indicate le modalità per negare l’installazione di qualunque cookie.